La sorte volle che il compleanno di quel poeta coincidesse con la festa principale per il popolo russo: il Giorno della Vittoria. Bulat Okudzava andò al fronte diciassettenne. Fece il mortaista, il radiotelegrafista dell'artiglieria pesante, fu ferito due volte. La guerra è rimasta incisa nella sua attività artistica e nella sua visione del mondo.
Il fronte faceva tanta paura. Questi ricordi mi stavano alle calcagna e continuano a seguirmi. Resto impressionato ancor ora, nonostante sia passato mezzo secolo...
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La sua esperienza giovanile, come l'esperienza di migliaia di ragazzi e ragazze in cappotto da soldato, studenti di ieri, Okudzava racconta con sincera umanità nel romanzo breve “Buona fortuna, ragazzo!” (che si può leggere nel libro Le più belle novelle di tutti i paesi. 1965) e nella poesia “Ci vediamo, ragazzi”:
Oh, guerra spregevole, cos'hai fatto
Silenziosi sono i nostri cortili
I ragazzi nostri con la testa alta
Sono cresciuti innanzi tempo
Sulla soglia di casa appena visti
Se ne sono andati soldato dopo soldato
Ci vediamo, ragazzi, ragazzi,
Cercate di tornare indietro.
Non nascondevi, siate alti
Non risparmiate proiettili e granate
E non pensate a voi stessi
Ma cercate di tornare indietro.
Su se stesso Okudzava scrisse: “Sono nato nel 1924 a Mosca, in via Arbat. Sono di origine georgiana. Mio padre è georgiano, mia madre armena. Mio padre e mio padre erano lavoratori del partito. Provenivano da famiglie di operai, erano iscritti passò circa 19 anni nei Gulag. Mio padre fu fucilato. Poi si scoprì che non era colpevole”.(http://izvestia.ru/news/289793#ixzz313nDyb1D)
All'inizio Okudzava scriveva solo poesie. Insegnava russo e letteratura russa in una scuola a Tula. Poi inizio a cantare: creò una melodia e cantò agli amici una poesia con l’accompagnamento della chitarra. A loro piacque. Le canzoni acquisiscono popolarità: venivano registrati su nastro magnetico e le sue poesie circolavano illegalmente, perché erano ufficialmente proibite. Man mano che il ghiaccio si scioglieva, le canzoni venivano cantate nei film, diventavano parte di spettacoli teatrali. Il cantautore andava in tournée per il Paese, ma riuscì anche a dare alcuni concerti all'estero, nonostante l'opposizione delle autorità. Il suo primo disco ufficiale uscì a Parigi nel 1968, registrato dalla casa discografica Le chant du Mond.
Esiste anche un'edizione discografica italiana delle canzoni di Okudzava: “Un nastro da Mosca. Canzoni del disgelo cantate da B. Okudzava, Milano 1967. Inoltre l'Italia era il Paese che lo premiò: nel 1985 il club Tenco di San Remo gli conferì il premio di cantautore dell'anno.
Le sue poesie furono tradotte in italiano e pubblicate prima nel libro “Poesia russa contemporanea”, a cura di Giovanni Buttafava dall’Oglio Editore, Milano, 1967, e poi uscì un volume “Arbat, mio Arbat” a cura di Gian Piero Piretto, Edizioni Guerini e Associati, Milano, 1989.
Perché il poeta e cantautore Bulat Okudzava era così amato? Per la sua sincerità e la semplicità delle poesie e delle canzoni, per l'intonazione lirica e molto confidenziale e a volte ironica. La sua poetica è stata ripresa da altri cantautori come Georges Brassens.
“Non mi considerate, per favore, come un cantante. Né come cantante, né come musicista... Вы меня, как певца, пожалуйста, не воспринимайте. Ни как певца, ни как музыканта. … In generale tutti cantano meglio di me. Ma così si è messo il mio destino letterario che ho deciso di canticchiare alcune mie poesie. Io semplicemente canticchio le mie poesie”.
Ci ha lasciato non solo le opere letterarie, tra cui 10 libri di poesie e 20 di narrativa, saggistica, memorie, ma ha lasciato una filosofia. Era un esempio per l’intera generazione, mostrando come si può vivere, rimanendo onesto nei confronti di se stesso e negli altri.
“Vivo nel quadro del mio destino, ma non mi permetterò mai di disturbare la pace del vicino o il modo di vita dell'altro uomo per me stesso – questa è la libertà”.
Nonostante Okudzava si considerasse ateo, i suoi principi morali si possono definire cristiani. Nella poesia “Condanna per primo te stesso”, propone di non condannare i vicini, ma iniziare da se stessi, perché cambiando te stesso, puoi migliorare il mondo. In: “Finché la terra gira ancora”, conosciuta in Russia come “La preghiera” si esprime l'umiltà umana:
Finché la terra gira ancora,
Finché la luce é ancora forte,
Signore, dai a ciascuno
quello che non ha:
All'intelligente dai la testa,
Al codardo un cavallo,
A chi è felice dai il denaro...
E non dimenticarti di me.
Finché la terra gira ancora,
Signore, è tuo potere!
Dai all'ambizioso
potere a sazietà,
Concedi respiro al generoso,
Almeno fino al tramonto,
a Caino dai il pentimento...
E non dimenticarti di me.
Lo so: tu tutto puoi,
Io credo nella tua saggezza
Come crede il soldato morto
di risiedere in paradiso,
come crede ogni orecchio
ai tuoi discorsi pacati
come crediamo noi stessi
senza capire ciò che facciamo.
Signore, mio dio
tu mio dagli occhi verdi,
finché la terra gira ancora,
e lei stessa se ne stupisce,
finché le bastano
tempo e fuoco,
a tutti dai qualcosa
e non dimenticarti di me.
(traduzione G.P. Piretto)
Okudzava scrisse oltre 800 poesie. Molte di esse nacquero insieme con le melodie. Ha composto circa 200 canzoni. Diversi compositori hanno scritto musiche sulle poesie di Okudzava. Molte ebbero successo, come la canzone, accompagnata con la musica di Valentin Levashov “Prendi il pastrano, andiamo a casa”:
Bulat Okudzava morì nel 1997, fu sepolto nel cimitero Vagankovskoe a Mosca. Oggi il poeta avrebbe compiuto 90 anni.
Bulat Okudzava morì nel 1997, fu sepolto nel cimitero Vagankovskoe a Mosca. Oggi il poeta avrebbe compiuto 90 anni.
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