giovedì 30 dicembre 2010

Stintino


La mia poesia dedicata all’amato paese di Stintino.

Carlo Sedda


Beddhu lu tempu di la Tunnara
candu lu Rais da la musciarra
dirigia li tunnarotti a pischà
tunni granfini e pesci ipada
pà priparà taci,surra musciammu
buttarigga,vintrescha e ischaturammu.

Li masthri d’ascia trattabani l’ascioru
la lima,la pianitta,lu sarraccu
a custhrui baschi di saurra e guzzetti
sandurini guzzi e ipagnuritti
li nansaiori cun guggella in legnu
intricciabani lu giuncu a priparà nansi cun inzegnu.

Oggi sei un cumuni marinu
cun alberghi risthuranti e villi a bagaglinu
li turisthi passani li feri
zischendi d’acciappà la pazi
pigliendi lu sori i l’ipiaggi
e, la sera a passiggià pà li carreri.

Magnendi l’ariusta d’Isthintini
lu poipu cun patatu ad insaradda
la cassora o lu pesciu arrusthu
passani una mimurabiri siradda
bibendi allegramenti birra o vinu
gudendisi una vidda ipinsieradda.

L’Isthintini è mirabigliosu
li turisthi senza assai pratesi
amani li biddhezi di chisthu paesi
augurendizi chi torriani un’asthrannu
pà visità lu bagaglinu,la pirosa tunnara
pazzona li sarini ed ezzi mannu.

venerdì 24 dicembre 2010

Augùrios de bonas festas

http://padovacultura.padovanet.it/manifestazioni/archivio/Festa%20di%20fine%20anno%20in%20Prato%202005-2006.jpeg
A totus, a sa fine de cust’annu
deo àuguro salude, giòia e amore.
pro bos mandare abbratzos e un’asu mannu
impreo custa poesia chi chentz’errore(s)

bos potat giugher sempre e solu paghe!
Custu nadale, cun s’alenu sou,
bos donet totu su chi bos piaghe(t)
e su matessi fetat s’annu nou!

E como ch’est torrada a mie sa musa
iscrio in rima e bois ascultade!
Buffade carchi ampulla de Ichnusa…
est sempre mèdiu de felitzidade.

Pro bois tenzo su coro in custa manu
inoghe, in sa terra ‘e sole e mare
bos lu regalo ma no in italianu:
su sardu est meda mezus pro poetare!

Finende, como, custas pagas rimas
amigos, cun piaghere las leeda(s).
Iscrio cun affettu e cun istima…
e bos saludo totus…augùrios meda!

Istèvene Chessa 24-12-2010

venerdì 3 dicembre 2010

ARDIMENTOSO ANCHEGGIARE...............

Enrica Meloni





Ardimentoso ancheggiare,
sfoggio d'un ammiccante talismano d'una rota di sensualità.
Fuorviante maestra, di sensi perduti nel non ritorno.
Conquistatrice di magnanimi corpi,
liquidatrice d'animi sul far d'una capace ragioniera.
...

mercoledì 3 novembre 2010

Brothers in Arms ... fratelli in armi.

Queste montagne coperte di nebbia
Ora sono una casa per me
Ma la mia casa è nelle pianure
E lì sempre sarà
Un giorno forse voi ritornerete
Alle vostre valli e fattorie
E non brucerete più
Per essere fratelli in armi

Attraverso questi campi di distruzione
Battesimi di fuoco
Ho visto tutti voi soffrire
Mentre la furia delle battaglie saliva
E sebbene m'abbian ferito gravemente
Nella paura e nell'allarme
Voi non mi avete abbandonato
Miei fratelli in armi

Ci sono tanti mondi diversi
Sotto tanti diversi Soli
E noi abbiamo un solo mondo
Ma viviamo in mondi differenti

Ora il sole è andato all'inferno
E la luna cavalca alta nel cielo
Lasciate che vi dica addio
Ogni uomo deve morire
Ma è scritto nella luce delle stelle
E in ogni linea del palmo della vostra mano
Siamo folli a far la guerra
Ai nostri fratelli in armi.




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Nato a Glasgow, Scozia, il 12 agosto 1949, Mark Knopfler si è dedicato inizialmente all'insegnamento scolastico; poi la musica nella sua vita ha prevalso, diventando da puro passatempo ad attività professionale. Sul finire degli anni '70 fonda i Dire Straits, gruppo diventato di culto e dei cui pezzi storici oggi ("Sultans of swing", "Tunnel of love", "Money for nothing", solo per citarne alcuni), anche se talvolta passano per le radio, si sente spesso la nostalgia.

lunedì 1 novembre 2010

NUN CI CAPIU CCHIU’ NENTI


Ti vogghiù beni……e ridi
Ridi ….e ti fai cchiù bedda
E chiù si bedda
E cchiù ssài ti vogghiù beni.
Ogni matina ‘a luna sì ’nnì và
E ogni notti torna
E ogni ghiornu si fa cchiù bedda.
E cchiù ‘a luna è bedda
E cchiù ssài ti vogghiù beni.
E comu na rota ca gira
E ogni giru
A luna si fa cchiù bedda
E iù cchiù ssài ti vogghiù beni.
Nun ci capìu cchiù nenti……..
Ma picchì ti vogghiù beni……..?

traduzione

NON HO CAPITO PIU’ NIENTE
Ti voglio bene….e ridi
Ridi ….e ti fai più bella
E più sei bella
E di più ti voglio bene.
Ogni mattina la luna se ne và
E ogni notte torne
E ogni giorno si fa più bella.
E più la luna e bella
e di più ti voglio bene.
E come una ruota che gira
E ogni giro
La luna si fa più bella.
E io di più ti voglio bene.
Non ci capisco più niente…….
Ma perché ti voglio bene……..?

venerdì 15 ottobre 2010

Sa morti 'e sa terra nosta no fait arrumòriu

PAOLA ALCIONI
Sa morti 'e sa terra nosta
no fait arrumòriu.
No s'intendit tzùnchiu
ni chèscia. No s'intendit
tzérriu chi si pesit
...furiosu
a su gosu de s'intruxu indìnniu.
In custu citiri artu
e sbregungiu
de bestiàmini fertu de ressìnniu
si morit
su benidori 'e fillu miu
sentz'e atitu perunu...

La morte della nostra terra/ non fa rumore./ Non si sente gemito/ nè lamento. Non si sente/ grido che si levi/ furibondo/ all'orgasmo dell'indegno avvoltoio./ In questo silenzio alto/ e vergognoso/ di bestiame colpito dalla rassegnazione/ muore/ il futuro di mio figlio/ senza compianto alcuno...

mercoledì 6 ottobre 2010

La tortura e il rogo di Lliri (Caller, 1670)

PAOLA ALCIONI

– Noi non possiamo mentire: siamo dinanzi a Dio, suoi ministri. Ma tu, perché non ci dici quello che vogliamo sapere e poi te ne vai libera, a vendicarti del tradimento? Non sarebbe dolce, ora, vendicarti di un uomo che ti vende così, per soldi, come un oggetto?
Poiché lei non parlava e stava così, a capo chino, del tutto abbandonata al suo dolore, l’Inquisitore fece un gesto ed uno degli assistenti portò una trappola rudimentale, dove stava rinchiuso un topo.
Lliri sbarrò lo sguardo, ritraendosi con orrore.
Sapeva che quella era una tortura applicata a streghe ed eretici: un topo vivo era infilato nella vagina, o nell’ano, con la testa rivolta verso gli organi interni e, spesso, l’apertura veniva cucita.
Con un gemito, cercò di ritrarsi. Ma la presero e le divaricarono le gambe a forza.
Così, accolse con un urlo stravolto, spezzato e folle, che nulla aveva più di umano, l’orrore che la penetrava, nell’unico amplesso che le fosse dato conoscere.
Nei fremiti del viso stravolto, si riflettevano i fremiti della bestia che, cercando affannosamente una via d’uscita, graffiava e rodeva e si addentrava, centimetro dopo centimetro, dentro di lei.
Pochi terribili minuti.
Poi la voce divenuta rauca si ruppe, ad un tratto, come recisa da una falce di silenzio.
Assordante, quell’improvvisa assenza.
Rimasero, a dire che era viva, solo muti sussulti, che ancora squassavano il corpo, ai lampi di dolore provocati dalla disperata agonia dell’animale.
Quando la bestia smise di muoversi, parve morta anche lei. Il corpo percorso solo da lunghi brividi.
Poi, quando gli inquisitori si ritirarono, cominciò a gonfiarsi.
Il sirurgian decise, a costo della vita, di mettere fine alle sue sofferenze, e preparò una mistura che le avrebbe spento la coscienza e donato una morte rapida. Le offrì il liquido in una ciotola di legno.
– Con questo eviterai le fiamme – le disse, ma lei distolse le labbra, arrossate da un gorgoglio di sangue che saliva dai recessi di quella maternità d’orrore che custodiva nel ventre. Gli occhi velati.
– Fammi solo un cenno, e ti finisco con una pugnalata al cuore – insistette, disperato.
No, disse lento il capo di Lliri: non avrebbe saputo, né più poteva, dire alcunché.
L’uomo vide allora, gli occhi assorti di lei, fissare dietro le sue spalle, incantarsi in una luce di dolcezza quieta. Si voltò d’istinto, ma non c’era nessuno.
– Cosa vedi? – le domandò, impressionato. Glielo disse.
Là dietro le spalle di quell’estraneo, che voleva salvarle la vita, Lliri vedeva suo padre, in piedi nella sala disadorna e fredda della sua infanzia, sorriderle e togliersi il mantello scuro dalle spalle con un ampio gesto, per avvolgerla nel tepore.

L’indomani, quando la caricarono sulla carretta per condurla a Is Stelladas era ancora viva.
Camminando dalla carretta alla pira, a piedi scalzi, lasciò una scia di sangue scuro che le scivolava lungo le cosce e le gambe fino ai piedi incrostati, fino alla strada estrema che le toccava di fare. E restava, pasticciato dall’orlo della sottana, a segnare quel calvario.
Legata che fu al palo eretto in mezzo alla catasta di legna, non si capiva se la quantità di vita che ancora le restava, l’avrebbe retta fino allo strazio delle fiamme o se, pietosa, le sarebbe mancata prima.
Quando accesero il fuoco, sollevò a fatica il capo, scostò le palpebre - gonfie nel viso smunto e sporco - e mosse intorno, da quella fessura, uno sguardo che ammutolì il gruppetto di coraggiosi e curiosi che là si erano radunati. Uno ad uno li guardò, attraverso le prime volute di fumo che si levavano.
Uno ad uno, tra le prime lingue di fuoco.
Solo l’uomo che aveva tentato di evitarle quella sofferenza, celato dietro lo spigolo di un muro, capì cosa c’era nella muta ricerca che quello sguardo conduceva, dal ciglio della morte.
Attesa, c’era. E amore.
Ma vedeva anche che nessuno si faceva avanti ad onorarlo. Nessuno con una voce, con un urlo, cercava d’impedire quella morte. Nessuno saltava sulla pira, per recidere le corde che legavano la donna al palo. Nessuno la soccorreva. Nessuno, nemmeno, le faceva mostra d’una presenza o d’un conforto, ma lei fino all’ultimo continuò ad attendere e a cercare.
Poi, mentre le fiamme si accostavano ai piedi, tutti credettero che fosse morta perché non si levò un grido dal rogo.
Solo, il corpo oscillava tra il riverbero e gli occhi si spalancavano a cercare oltre la vampa che la raggiungeva, di là dal bagliore che l’accecava, qualcuno.
Ancora e ancora. Qualcuno. Con smisurato amore. Con sovrumana fiducia.
Estrema carezza lo sguardo, sfiorava almeno l’assenza, che era pur qualcosa - un nulla, un vuoto - di quello che attendeva invano.
Non vedendolo giungere, rievocò dal profondo della sua memoria di dolore, l’unica dolcezza: il nome che gli aveva dato tanto tempo prima, pronunciando un giuramento e guardandolo l’ultima volta negli occhi.
Le fiamme avvolsero la sua veste.
Quel nome si alzò improvviso e straziante dal rogo: lo aveva dimenticato, ma ora le saliva alle bolle roventi delle labbra per un ennesimo addio.
Le donne impallidirono, come se una pena venisse ad abitare il loro petto, all’improvviso, con buie ali di corvo. Gli uomini più incalliti chinarono il mento al petto, altri si allontanarono, con le spalle curve.
Pochi avevano voglia di restare a guardare la donna di fiamma, quella torcia d’amore che chiamava nella notte con pietosa dolcezza, mentre il fuoco le sollevava orrende bolle e le anneriva le carni.
Di quei pochi, quasi tutti sentivano le gambe vacillare, al silenzio senza speranza che le rispondeva, alto, quasi più udibile del crepitio del fuoco.
Lei, ancora una volta, dopo un accesso di tosse, chiamò: invocazione di sillabe senza più significato. Le guardie lasciarono cadere le picche e calcarono al suolo le torce, con le quali rinvigorivano il fuoco, quando languiva. In terra, rimasero larghe bocche spalancate e nere, esalanti aliti di fumo.
Si alzò ancora il richiamo, più fievole e incomprensibile.
E ancora. Finché ebbe respiro.
Poi ne restò solo l’eco ritornante, celato dalla pietà della notte dietro il rimbombo greve della campana a morto.
Finché le guance non furono arse e scavate, finché gli occhi non furono calcinati e spenti. Finché la lingua non fu più che un grumo muto.
Ed il corpo un resto fumante che il vento infine, a larghe scaglie tiepide, sfaldava in pallidi petali d’argento, che erano le ali della sua anima di gabbiano.
Lei non lo sapeva, ma ora si levava con esse in volo.
Giglio d’inverno non sapeva più nulla.
Il vento la portava, lungo le strade ferite della Città di pietra, storia tra mille storie perdute, ignara d’essere unita alla sorella come lo fu nel seno materno: Giglio d’inverno con petali di cenere.

Paola Alcioni (inedito)

martedì 5 ottobre 2010

HO RINNOVATO I MIEI PATTI CON LA TERRA

PAOLA ALCIONI poeta

Ho rinnovato i miei patti con la terra.
Terra mia, madre di ogni germoglio...

Ho raccolto la terra, l’ho setacciata e impastata, con ghiande e preghiere.
Ne ho fatto un pane tondo e schiacciato e, sempre pregando, l’ho cotto.
Poi mi sono inginocchiata e l’ho spezzato, portandone un pezzo alla bocca.
Con la mia terra mi sono comunicata, come se fosse un’ostia. Così facevano i nostri antenati.

"Dalle tue mani vuote e incatenate, si leverà un giorno un sogno" predisse l'Indovino.
La dignità della mia terra, che si leva al grido delle genti, per trasformarsi in libertà! pensavo...

Ho indossato sulle spalle il mantello di Poeta e ad armacollo l'antico pugnale di Guerriera.
Coraggio di cuoio ho stretto ai polsi, come fa la mia gente da millenni per difendersi dallo sfregare delle catene.
Ed ho cominciato a mettere passi nella dura via della tempesta, con il vento e il crepuscolo d'autunno per compagni.

Giunta al crocevia, mi aspettava la Nemica, TresCaras.
LA SORTE, LA VITA, LA MORTE sono i suoi tre volti, nascosti da cappucci intessuti di ghiaccio ed euforbia.

Nella nostra partita millenaria, oggi toccava a lei la mossa.
LA VITA sceglie regole e forme, LA MORTE luoghi e tempi per giocare, LA SORTE sceglie sotterfugi e persone.
Io non scelgo niente. Dunque gioco, perché se non gioco perdo in ogni caso.

Ecco la mossa!
Si tende l'agghiacciata mano e suscita il gesto della Puttana dalle nebbie d’autunno una figura...
La nuova prova, pensata per annientarmi, per spezzarmi il cuore...

Ho fatto un passo, ho guardato il tuo giovane volto ed ho tremato.

Tradimento...
Ma neanche le altre mosse erano leali.
La Grande Bastarda...

Lasciato cadere il mantello, ho serrato i denti, ho stretto ancor più il cuoio ed afferrato il pugnale, per tagliare le maniche alla tunica, i miei capelli lunghi di oleandro e recidere il sogno alla radice, dividendomi l'anima in due parti.

Poi mi sono incamminata.

Gocce vivide ingoiava la polvere del sentiero ed il buio, dietro i miei passi incerti.
E mentre a fatica e senza senso mettevo l'uno davanti all'altro quei miei passi, dalle mani vuote e incatenate, lasciavo andare libero il mio sogno.
Il mio sogno migliore.

Solo quando si è spenta alle mie spalle l'eco della risata tre volte folle, mi sono fermata sotto l’arco indifferente della sera pervasa di fragranza di gelsomini.
E a capo chino - cadendo con un ginocchio a terra, il petto aperto dai singhiozzi ed il tuo nome alle labbra - ho pianto.

giovedì 9 settembre 2010

L'AMICIZIA



Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
E' il
campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza.
E' la vostra
mensa e il vostro focolare.
Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e
lo cercate per la vostra pace.
Quando
l'amico vi confida il suo
pensiero, non temete di dire no,

trattenete il vostro sì.
E
quando tace, il vostro cuore non smetta di
ascoltare il suo cuore.
Nell'amicizia
ogni pensiero, ogni
desiderio, ogni attesa nasce
e viene
condiviso con una gioia priva di
lodi.
Quando vi separate
dall'amico non rattristatevi.
Poiché le cose
che più apprezzate in
lui,
potrebbero esservi più chiare durante la sua
assenza,
così
come la montagna è più chiara allo scalatore dalla
pianura.
E non
vi sia nell'amicizia altro scopo che l'approfondimento
dello
spirito.

(Khalil Gibran)

NOTI DE TURMENTU


(di Paola Alcioni)

... E deu a maledixi sa noti scampiada,
sa luxi ‘e luna sfacia
chi m’at aguantau a sa scida
allomburendi a sa soga de su sonnu
su pensamentu marigosu de tui.
Nisciuna nui, nisciunu bentu carinniosu
m’allébiat su pesu ‘e s’arregordu:
turmentu sentz’e asséliu, sbéliu
sentz’e ispera peruna, che amargura
furada a su leunaxi, sentz’e paxi,
sentz’e nisciuna paxi, che ànima
in pena!

... E deu a maledixi sa noti sullena,
allacanendimí po cust’axiu chi in su scuriu
di aintru, a manu prena, mi forrogat.
... E sa luna giogat cun su tempus fui fui...

E tui, innui ses, eita ses: luxi
o píxida umbra de dillíriu e de nexi?
Deu - innoi seu! - a maledixi
intr’e billa e sonnu cust’amori
chi si stésiat aici, faci a su primu striori
‘e obrescidroxu, sentz’e mancu acostai.
Naramí: si giai ti tengu aintru,
in cali àtera ‘ia t’ap’a circai?

... E sa luna cumentzat a si sfai in cilixia...

Amori, no...
no m’as abarrai in coru che sèmini
marigosu ‘e tribulia o comenti arrastu
penosu ‘e araxi frida. No.
Mancai sa vida
is burtzus m’at a siddai cun sàrtias de mura,
e sa fura ‘e s’ierru m’at atetirigai su coru
de pressi e de ressínniu,
sempri unu carínniu intr’e is didus mius
po tui nci at a essi.

NOTTE DI TORMENTO

... Ed io a maledire la notte che schiarisce, la sfacciata luce di luna che mi ha tenuta sveglia raggomitolando al filo del sonno l’amaro pensiero di te.

Nessuna nuvola, nessun vento carezzevole mi allevia il peso del ricordo: tormento senza requie, desiderio senza nessuna speranza, come amarezza rubata all’oleandro, senza pace, senza pace alcuna, come un’anima in pena!
... Ed io a maledire la notte tranquilla, illanguidendomi per quest’ansia che nel buio interiore, a piene mani, mi fruga.
... E la luna gioca con il tempo che fugge...
E tu, dove sei, cosa sei: luce oppure ombra di pece di delirio e di colpa?
Io - sono qui! - a maledire tra veglia e sonno quest’amore che si allontana così, verso il primo brivido dell’alba senza neanche avvicinarsi.
Dimmi: se già ti ho in me, in quale altra strada ti cercherò?
... E la luna comincia a disfarsi in brina...
Amore, no... non mi rimarrai in cuore come seme amaro di sofferenza o come traccia dolorosa di brezza fredda. No.
Anche se la vita mi legherà i polsi con tralci di rovo, e il furto dell’inverno mi gelerà il cuore
di fretta e di rassegnazione, sempre una carezza tra le mie dita per te ci sarà.

domenica 5 settembre 2010

Oh dolce Orchidea di levante!



Bella Orchidea
bianca e vellutata
cosparsa di brillanti gocce
di rugiada
del fresco albeggio
di primo mattino
protesa ai raggi ispidi
di un sole ancora nascosto
dalla terra di levante

Bella e delicata
sei tu mia dolce
Orchidea di levante!!

Vaturu

venerdì 3 settembre 2010

KÖR BİR... A BLIND...













Ataol Behramoğlu

La vita è il cuore pieno di tristezza
In un pomeriggio di sole aprile
Tutto è morto e sepolto
è in gioco con il bambino dei vicini o

vento agitando le foglie che
Ma la morte non si muove
la pioggia, l'autunno pallido uccelli
Chi sa dove andare sotto la pioggia
angolo, la stanza puzza di naftalina
sera nelle stanze della casa circondata
Un bambino dormiva
noce e pioppo e tiglio sono
rilascio sarebbe un dolore

Così ciò che è stato così male
sevigilim! Qual è stato così male
Vorrei camminare per la città a mezzanotte
stub in tasca in caso di un suicidio
con schizofrenia e pompa armonica
Mio Dio! Quello che mi era tanto sola, in montagna -
Vorrei camminare, piangere,
Tengo la faccia a terra
città -
gözlerdim.
- Memore della mia giovinezza con questi problemi -
La cameriera ha detto al giudice che il suo caro padre
sarebbe arrivato. Lei e mesi. mia stanza -
Stavo scrivendo sui muri
circa la rivolta e morire
Per rimanere sveglio tutta a scapito della
Vorrei scrivere articoli, Kafka
v.s. Si sedeva in un villaggio
Si parlava della morte di seduta
Se un disegno del cappello
Il corpo di un progetto
feto e una spalla debole
cappotti militari e avrebbe Trenčín
sera si sarebbe parlato
Ci piacerebbe dolore e amore
Mia cara! Ci piacerebbe dolore
sapone per le mani l'odore di cipolla e
Vorrei baciare i tuoi piedi, e poi
la notte è venuto con un grugnito pesante
Di notte e il mio cervello si applicherebbe
la luce non luce, la notte era venuto,
Vorrei andare, in quel momento ero malato
Il mio cervello era malato, coperto in -
tremava come una piaga spot
la notte, ansimando
progresso sudava come un treno.

Il mio cuore!
te ne sei andato
Sei inciampare una canzone
formazione di schiuma flusso
alimentati con dolore e tristezza
ottenere un fiume.

sera
eco in città
e le pecore campane
tombe
Nella città polverosa
bambini piangevano
meno colorato rispetto al mondo e gesso
fino a quando una foto è stata polveroso e vaga
L'amore era ambigua

voi
Ti aspettiamo per una città tranquilla, con un rancore
dietro un vetro con un blues rauco
Sei pronto per amore e compassione
compassione e odio e
In questo modo il dolore di distanza.
Stai guardando la città da una torre
Dal balcone una passione che
Nessuno lo sa

N. passaggi di canzoni d'amore
ah tutto
come si è visto da una finestra
al mondo una finestra
Come un mondo passato di cartoline.

Il mio cuore.
inciampa come un bambino cieco.

sabato 28 agosto 2010

CANDIDO FIOR CHE SEI, OH CALLA!!



Candido fiorente ,

rigoglìo d'una espressa naturalità.

stelo d'un protrarsi similmente vulvare,

comparabilità d'essenza vitale.


Mistificazione d'un profumo irreale,

avvenenza intrinseca d'una fervida eleganza.

Apparente loco di certo tepor

d'amabile giaciglio.



Traditor uscio,

accogliente chiunque,

al pari d'una spensierata meretrice senza pudore,

sii tu fascinosa calla.



( Enrica Meloni)

giovedì 26 agosto 2010

I VOSTRI SOGNI

Barış Tunçer

Tempesta si scatenò nel mio cuore
Il mio corpo era in fermento in giallo
Stavamo ballando sulle nuvole con te
Se la speranza..
quando entra nei miei sogni

Ma vorrei il silenzio
Mi fissò negli occhi
Sento l'odore
Ho ballato nei miei sogni

Quando le gocce colpito il vetro
Illuminato con la luce in un angolo buio della notte
Spero che a lume di candela accompagnata con allegato allegato
Io..
non piangere da solo Gelseydın

Durante la ricerca per la pace nel mio corpo, esausto sonno
Abbraccio gli spazi scuri in strada
Ogni volta che probabilmente trovo un angolo

Quando mi sveglio la notte divido il volume
Se viene a riposo si aspetterebbe attività.

Quando i vostri sogni si sono conclusi con la ...


martedì 29 giugno 2010

CANTZONI GRAI (Poesia Pesante) -A Gabriele-


Sa pandela sarda da cicipeis.


Paola Alcioni

Tengu po tui una bandera lébia
lébia e una cantzoni grai...

Mannugus de bisus
si lassant scravigai in s’alluinu
‘e s’argiola Is Printzipalis, mancai
apustis bentulau no si nd’abarrit.

Acirrant préxiu in tassas de birdi
fini, Is Printzipalis.
Innoi, canis de stréxiu
si faint a caru comporai ressínniu
po bendi spera a baratu.

Ap’a prangi cun tui candu sa schina
t’as a alliagai asuta ‘e su giuali
de su nudda. T’ap’a strexi
sa buca ferta, spumosa, siddada
a sogas de murrali. T’ap’a donai
acunortu in tribulia, ma
a sa primu oghiada priva
de dinnidadi custa bandera
mia t’ap’a donai, lébia
lébia e artiva.

Che duenna de rebellia antiga
moris de follas insanguentadas
currit a bortas che arrennegu
de ànimas acarcigadas…

E si fúrriat a tzérriu assarragau
de stracia e su celu murru de atóngiu
a petza bia scarràfiat e arretrocit
sa terra che bruncu de sirboni!

Dongant atentzioni Is Printzipalis...

Tengu in coru una cantzoni
grai chi a cantai
no ap’a acudi...
Ma est lébia sa bandera
chi t’apòrgiu: no tenit
che su pesu ‘e unu bisu abrodau
po tui, fillu miu, a colori ‘e ispera
e finiu a filu múrinu ‘e feli
e de dolori...

POESIA PESANTE
Ho per te una bandiera leggera leggera e una poesia pesante...

Quelli che Comandano in aie d’illusione covoni di sogni ci lasciano battere, anche se dopo tolta la paglia non ce ne resta.

Tracannano gioia in bicchieri di cristallo Quelli che Comandano. Qui, i loro tirapiedi ci costringono a svendere speranza per comprarci rassegnazione.

Piangerò con te quando la schiena ti piagherai sotto il giogo del nulla. Ti tergerò la bocca ferita, schiumante, serrata a lacci di cavezza. Ti darò consolazione nel tormento, ma al primo sguardo privo di dignità questa bandiera mia ti darò leggerissima e orgogliosa.

Come fantasma di antica rivolta sentieri di foglie insanguinate percorre a volte come inquietudine di anime calpestate…

E si trasforma in grido rauco di tempesta e il grigio cielo autunnale graffia a carne viva e ara e rivolta la terra come muso di cinghiale!

Stiano attenti Quelli che Comandano...

Ho nel cuore una poesia pesante che non farò in tempo a cantare...
Ma è leggera la bandiera che ti porgo: non ha che il peso di un sogno ricamato per te, figlio mio, colore della speranza e rifinito col violaceo filo dell’ira e del dolore...

lunedì 14 giugno 2010

TOTU EST POESIA

Paola Alcioni












Castia, intzimiat a proi.
Annuadas a bentu arrevesciu
nais de ghisciu
trassant in sa bizarra 'e su celu
sinnus chi no cumprendu.
Ma no ddi fait nudda: totu est poesia.

Proit, fillu miu, sa dì afrigia
stiddiendi in pous di annugiu
arraminadas lagrimas de grunda.
Fintzas in su stugiu 'e is sentidus
tzivinat e s'unda de Maistrali
incrubat acuzzas tzinnigas de dolori.

Po m'avesai a su marigosori 'e sali
de custu mali de bivi, deu, sossoìni
de pena, in s'arena arrexinis emu postu.
Nùas mi ddas lassàt 'onnia sbentuliàda
e no 'nd allebiàt s'acua s'asciutori.
Imoi, candu sa mannària 'e su celu
in cascias de umbra
is neas s'aguantad asurìa,
de sa manu mia si strobint arannias
sintzieddus i arrandant tirinnia de fueddus
in sa trama tirada de s'abetu. Aici
sciortu su spantu de sogas di apretu
totu si fait cantu e poesia
in custa 'ia de nebida e de vida.
E mancai si scurighint is bisus
in is trobeas de su tempus
no lassu prus chi arrisus axedint
che binu intristau. Tui mi dd'as imparau,
limbichendi de pixidas currentis
de axìu su prexu di essi biu.

Castia maìstu miu piticu, bisadori,
de bisus mannus mannus: no proit
prus. Nais de craboni
trassant in sa pruinca 'e su celu
bolidus chi si stesiant.
Ti 'nd'as andai tui puru?
Si strobint de sa manu mia in su saludu
de cilixia caus e de ressinniu.
De sa tua arrundilis chi lestras
torrant in carinniu di allirghia
narendi: est berus, totu
-totu! - est poesia.











Nota:
Una donna parla al figlio chiamandolo piccolo maestro, sognatore di grandissimi sogni, perché attraverso di lui ha scoperto la poesia anche nel male di vivere, che sembra non volerci dare tregua. E così è possibile che la pioggia, il vento, come il cielo avaro, rivelino un volto diverso. Il bambino distilla "da oscure correnti d'angoscia la gioia di vivere". La poesia è particolarmente ricca di energia icastica profonda, che si sprigiona da una serie di immagini simboliche di sicura efficacia rappresentativa, grazie anche ad un lessico che non indulge a facili richiami di leggerezza, ma s'impone per la sua pregnanza semantica.

sabato 22 maggio 2010

SONO UNA DONNA


[(Joumana Haddad 1970) Libano]


Nessuno può immaginare

quel che dico quando me ne sto in silenzio
...

chi vedo quando chiudo gli occhi

come vengo sospinta quando vengo sospinta

cosa cerco quando lascio libere le mani.

Nessuno, nessuno sa

quando ho fame quando parto

quando cammino e quando mi perdo,

e nessuno sa

che per me andare è ritornare

e ritornare è indietreggiare,

che la mia debolezza è una maschera

e la mia forza è una maschera,

e quel che seguirà è una tempesta.

Credono di sapere

e io glielo lascio credere

e io avvengo.

Hanno costruito per me una gabbia affinché la mia libertà

fosse una loro concessione

e ringraziassi e obbedissi.

Ma io sono libera prima e dopo di loro,

con loro e senza loro

sono libera nella vittoria e nella sconfitta.

La mia prigione è la mia volontà!

La chiave della mia prigione è la loro lingua

ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio

desiderio

e il mio desiderio non riusciranno mai a domare.

Sono una donna.

Credono che la mia libertà sia loro proprietà

e io glielo lascio credere

e avvengo.


martedì 11 maggio 2010

PREGADORIA A SA TERRA MIA


- Paola Alcioni -

Ancu cust’umbra de axiu
lompat sentz’’e sprama,
cun passu lébiu e manu sentz’’e tírria,
po ‘ndi studai s’úrtimu bisu miu,
Terra Mama.
E candu ap’essi arruta cara a is nuis,
firmu unu bólidu ‘e spantu
in is pipias,
dolori e timorias apaxiamí
e asciutamí su prantu.
Prenimí cun s’imprassu ‘e su bentu
is bratzus obertus debadas, che sa gruxi,
e unu carínniu arraspinosu ‘e arena
m’intreghit unda a sa praja sullena
de s’urtimu sonnu.

Ti torru gràtzias po su chi no apu tentu,
chi no lassu cun làstima innoi:
no lassu gosus, sceti su proi proi
e sa strossa de pèsperus nuscosus.

Anninniamí, Mamai, cun su zúmiu
de una durci cantzoni in sa tzinniga
e arregordu ‘e mali no mi portit
su tzérriu tzirrichiosu ‘e su maistrali,
candu fridu affarruncat de is notzentis
tzinníbiris de mari frunzas fertas.

Lassamí is pibiristas obertas:
no timu prus s’arrori de s’aera
abbrigada de su soli ‘e s’istadi.

Ma tui, chi arréxinis e língua m’as donau, chistidí
custu studau losíngiu ‘e solidadi
in s’amori de is intrànnias tuas:
ancu tengat spera cras
de intzeurrai frori
o aira po ‘ndi pesai
arta
una bandera...


PREGHIERA ALLA MIA TERRA

Fa che quest’ombra di angoscia
giunga senza spavento,
con passo leggero
e mano senza odio,
per spegnere l’ultimo mio sogno,
Madre Terra.

E quando cadrò col viso alle nuvole,
immobile un volo di stupore nelle pupille,
dà pace al mio dolore e alle paure
e asciugami il pianto.

Riempimi con l’abbraccio del vento
le braccia invano aperte,
come in croce,
e una carezza ruvida di rena
mi affidi onda alla spiaggia serena dell’ultimo sonno.

Ti ringrazio per ciò che non ho avuto,
che non lascio qui con rimpianto:
non lascio gioie,
solo la pioggia e
lo strazio di vespri profumati.

Ninnami,
Madre,
con il ronzio
di una dolce canzone tra i giunchi
e ricordo di male non mi porti
il grido stridente del maestrale,
quando freddo afferra
degli innocenti ginepri di mare le fronde ferite.

Lasciami le palpebre aperte:
non temo più l’orrore
dell’aria rovente del sole dell’estate.

Ma tu, che radici e lingua mi hai dato,
conserva questo spento lucignolo di solitudine
nell’amore delle tue viscere:
che abbia speranza
domani di germogliare fiore
o ira per levare alta una bandiera…

domenica 11 aprile 2010

ABOLITELA!

Stefano Chessa

Si dice che siam noi

la razza intelligente,

esaltati un po’ da eroi,

esaltati un po’ dal niente.

Con speranze anche divelte

e col gran dono del pensiero,

ma talvolta alcune scelte

ci rovinano davvero.

Con l’idea di un solo sangue

senza razze né colori

che purtroppo spesso langue

a favore degli errori.

Dall’America l’esempio,

la nazione più potente,

che pel suo aberrante scempio

è e sarà la più scadente.

L’hanno fatto forse fieri,

e noi siam qua col cuore scosso

perché proprio l’altro ieri

ci è crollato il mondo addosso.

Quando il boia ancor non domo

l’altra notte ha immesso l’ago,

uccidendo un altro uomo

sarà poi rimasto pago?

Per finire ora vi lascio

aggiungendo: “Non dobbiamo

far di tutta l’erba un fascio,

ma pensare a chi noi siamo.

Americani, in questo scritto

dico che son tempi bui

se rubate anche il diritto

di rubar la vita altrui.

Ma noi tutti urliamo forte

In quest’anno senza nove

che ora la pena di morte

sia abolita in ogni dove;

e se poi altri non lo fanno

ne dobbiamo far tesoro

e far si che entro quest’anno

aboliscano anche loro.

Poesia di facile interpretazione, scritta contro la pena di morte, in occasione dell’uccisione di Rocco Derek Barnabei.

Stefano Chessa

martedì 6 aprile 2010

TI AMO...


NAZIM HIKMET -


Ti amo come se mangiassi il pane
spruzzandolo di sale
come se alzandomi la notte, bruciante di febbre,
bevessi l'acqua con le labbra sul rubinetto;

ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so cosa contenga e da chi pieno di gioia
pieno di sospetto agitato.

Ti amo come se sorvolassi il mare per la
prima volta in aereo,
ti amo come qualche cosa che si muove in me
quando il tramonto scende su Instambul
poco a poco
ti amo come se dicessi:

"Dio sia lodato, son vivo".

giovedì 11 marzo 2010

lunedì 8 marzo 2010

♥ ... UN MORSO DI TE...




♥ ...

Un morso di Te
e nel peccato si scopre
candida, l'innocenza.
In un battito
giunge l'addio
al mondo scontato
e mi perdo nel Cuore
del mio caldo abbandono..
E mentre mi offro
alla Luce
del tuo universo,
raggiungimi in fondo,
che di riflesso a Te
l'anima diventa
polpa zuccherina
da succhiare
eternamente..
Raggiungimi la',
nell'ambrato respiro
che ha dipinto
di colorata dolcezza
l'Inverno..

Diletta Morani

martedì 2 marzo 2010

UNA BESTIA CHE TUTTI PRENDEVANO A CALCI

Giovanna Mulas
-Io non sono qui per chiederti nulla.
Volevo solo…conoscerti-.
Bobore le scoccò un’occhiata carica di sconcerto. Le parole gli intasavano la bocca senza che neppure una riuscisse a scapparne fuori, le labbra erano distorte; pericolosamente tremanti.
-Si- disse solo e la voce era fioca, scosse lentamente il capo.
-Si?- ripetè Giada.
L’uomo cavò il fazzoletto dalla tasca posteriore dei calzoni.
Si volse di scatto verso la finestra, agghiacciato.
-lo… sentivo io…sentivo che c’eri.-, mormorò. - L’ho sempre sentito senza saperlo e perdonami per questo. No l’apo cheriu deo, custu, no. Non l’ho chiesto e non l’ho voluto credere.-.
Lei era troppo giovane per decidere e per capire, per…tutto, si. Non doveva andare così. Non tra lui e Andina.
-Mama tua…tua madre quella notte, dopo che noi…- la fissò, impacciato.
-Si, continua- fece l’altra; aveva un espressione turbata. Deglutì a vuoto.
-Mi disse che sapeva che c’eri, che qualcosa stava arrivando dentro di lei ed era soltanto mio e suo. Disse proprio così: mio e tuo, Bobore.
In questi anni ogni volta che il pensiero mi arrivava lo cacciavo, non volevo credere che fosse vero che…-
-mmmh. Mamma questo non me lo disse mai.
Disse solo che tu eri… un animale, come lei. Una bestia che tutti prendevano a calci. E che io non dovevo essere così, io meritavo di più.-.
-Perché…- Bobore sollevò gli occhi al cielo, -…perché non dirmelo? PERCHE’?-
(Perchèperchèperchèperchè)
Perché la Natura ha il suo corso, e pure quando pare che dorma, in realtà, è in veglia perenne. Pure in inverno, quando le bacche rosse s’affacciano tra i cespugli, piccole ed invitanti, e l’agrifoglio non vuole carezze, e non ne dà, su e su, dove l’aquila s’innalza e dabbasso dove le capre, tra le rocce scure, mirano il vuoto che separa il cielo dalla maestosità del mare d’Ogliastra. La Natura segue il suo corso e non soltanto in primavera, veglia.
Guarda il fiume, uomo, lì, dinanzi agli occhi tuoi, e non dimenticare mai di ascoltarne il rumore, che sia notte, o che sia giorno. E guarda l’albero e la fissità della pietra che tuttocapisce tuttoconosce, guardali, e in loro finalmente vediti davvero.
Perché?

Giovanna Mulas, estratto da Delle Trascorse Stagioni, romanzo

ELLA PASSA RADIOSA

George Gordon Byron





I.

Ella passa radiosa, come la notte
Di climi tersi e di cieli stellati;
Tutto il meglio del buio e del fulgore
S'incontra nel suo sguardo e nei suoi occhi
Così addolciti a quella luce tenera
Che allo sfarzo del giorno nega il cielo.

II.

Un'ombra in più, un raggio in meno, avrebbero
Guastato in parte la grazia senza nome
Che ondeggia sulla sua treccia corvina
O dolcemente le illumina in volto,
Dove pensieri limpidi e soavi
Pura svelano e preziosa la dimora.

III.

Su quella guancia, sopra quella fronte,
Così dolci, serene ma eloquenti,
I sorrisi avvincenti, i colori accesi
Parlano di giorni volti al bene,
Di un animo che qui con tutto è in pace,
Di un cuore che ama innocente!

domenica 28 febbraio 2010

La malinconia

Diletta Morani
....♥ ...

La malinconia e'un onda...arriva,s'infrange,
taglia eppoi cuce..e si allontana..♥ ...
A presto Compagni Miei...♥ ...

E Ti appartiene la mia malinconia
come docile onda nella tempesta
che accarezza i fianchi del Tuo legno...
come quel verde nuovo di febbraio
cullato nel ventre caldo della neve.
E Ti appartiene il mio sorriso...
candida caravella dei pensieri
struggente ricordo di un futuro vago..
E miei occhi sono i tuoi occhi
che, girasole, inseguo
ne raccolgo le ombre e lì mi nascondo,sicura..
E nostri i riflessi di quel che non siamo...
luci che impertinenti si cercano
angoli di vita che si abbracciano
musica che danza fra i colori
per stordire quell’accecante buio
in affollate, mentite solitudini
di un quotidiano privo del suo senso..


martedì 23 febbraio 2010

martedì 16 febbraio 2010

Oh pescatore ...



Oh pescatore di spugne
che sceso nel mio grembo
hai trovato la perla rara
della tua insana arroganza.
Guarda che non ti morda
la piovra dai mille occhi
che vendica i destini
e che si chiama vita.

- A. Merini -

domenica 14 febbraio 2010

Arrivano dal mare


Corsivo











Arrivano dal mare
I soliti Baroni
Arrivano dal mare i Presidenti ed i Padroni
I sardi sono piccoli
I grandi sono fessi
I nomi son diversi ma i Baroni son gli stessi
Arriva da lontano per dirci chi votare
È un Barone
Non si riesce a moderare
I sardi sono arcaici
Con sopracciglia folte
Per farcelo capire lui ritorna nove volte
Cannoni di sorrisi
Granate di parole

Se siamo piccoli, però, perché ci vuole?
Se siamo piccoli, però, di che ha paura?

Ha paura
Del mulo pelle scura
Ha paura
Dell’asino nascosto
Del cuore di quest’isola che sta in un altro posto
Di qualche spaccatura
Che sta nascendo altrove
Di qualche mulo che si sveglia e che si muove
Di qualche cosa che lo faccia moderare
Gli sappia fare guerra
Lo metta a piede in terra
Qualcosa che è lontana, che a Roma non si sente
Però quest’isola
È un altro continente...

Noi siamo piccoli
Col pepe nelle vene
Noi siamo piccoli però guardiamo bene
Si va a votare
Da chi farci comandare
Però c’è un modo strano di rispondere ai comandi
Noi siamo piccoli
Ma abbiamo gli occhi grandi

Guardate bene, sardi
Io guardo e miro
Guardate bene, sardi
Io guardo e spero

Se si può fare
Un presidente nero
Si può fare anche un presidente vero!.

(di Bruno Tognolini)

sabato 13 febbraio 2010

Ai bambini di Gaza..



Scivolano come lacrime
ad ovattare il Cielo
Nella speranza mal riposta
di un 'Alba piu'clemente
che di pieta'risponda..
La direzione e'sempre quella
rifugge le coscienze
Ma l'Urlo e'strazio a nevicar rimorso
nel Sangue che non dorme..
negli Occhi di chi guarda.
e le mie mani raccolgono farfalle
che di smeraldo,e bianco divenire
librano Sogni,
Di neve ricamati
che bastera dolce,un sorriso
a rammendare il Cuore..

Diletta Morani

lunedì 8 febbraio 2010

“ SOS SAGGIOS” (de carrera)




M’ammento cando fio minore
de tziu Antoni becciu e tziu Bore
chi cando eniada cabu e sera
setzido fora in sa carrera

setzido fora in su friscu
mi naraian caru Franziscu
non ti lasses mai incantare
dai inventzione o novidade
cà tantu si s’omine este ignorante o luminare
chi siada soldadu o ...generale
chi siada poveru o riccu este siguru
s’essere umanu torrada a ludu.


Frantziscu Masia

mercoledì 3 febbraio 2010

Ché l’amore atterrisce l’infelicità..

...

Non si dissolve l’Amore
Come se ogni bacio fosse
Sosta di un sospiro in braccio al vento..
E tutte le carezze
battiti di Luce distratta
È solo sepolto il Cuore,
Sotto rocce di pressioni
Chiuso nelle gabbie
dipinto da colori sbagliati,
nel suo armonico vitale
frastornato da invadenze dissonanti..
Così nasce l’anemia dell’Amore
Ché l’amore fa paura all’infelicità
Due anime amanti
Amano il mondo
E questo non li ama
Non li sostiene
Non li protegge
Non li difende..

Ché l’amore atterrisce l’infelicità..


Diletta Morani


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