martedì 23 dicembre 2008

Rapsodia Sarda

Nel mare dei mari c'è un'isola antica

Terra di gente generosa e amica.

Fuoco sui monti.

Squillano le trombe.


Fortza Paris Sardegna!


Nè Carlo Terzo nè Filippo Quinto.

Quest'Isola non è d'un re che ha vinto.

Scendiamo in campo.

Rullano i tamburi.


Fortza Paris Sardegna!


Noi cancelliamo con le nostre spade

di feudatari e re le leggi ladre.

Bandiere al vento.

Corriamo all'assalto.


Fortza Paris Sardegna!



Frantziscu Zedda

imprenta de f. zedda

venerdì 19 dicembre 2008

Su Patriotu Sardu a sos feuderatarius

dae Frantziscu Ignatziu Mannu
tradutzioni dae su Sardu subcmarcos
...............

Cercate di moderare, baroni, la tirannia, chè se no, per la mia vita!, tornate a piedi a terra! Dichiarata è già la guerra contro la prepotenza, e comincia la pazienza nel popolo a venir meno.

Badate che si sta levando contro di voi l'incendio; badate che non è un gioco, che la cosa diventa realtà; badate che l'aria minaccia temporale; gente mal consigliata, ascoltate la mia voce.

Non ficcate più a fondo lo sprone al povero ronzino, se no a mezza strada s'inalbera imbizzarrito; guardate ch'è magro e sposato, e non ne può più; alla fine a fondo in su getterà il cavaliere.

Il popolo che in profondo letargo era sepolto, finalmente svegliatosi s’accorge ch’è in catena, che sta soffrendo la conseguenza della sua antica indolenza; feudo, legge nemica a buona filosofia.

Come fosse una vigna, una tanca, un campiello, i villaggi han regalato gratis o vendendoli a poco prezzo; come un gregge di pecore uomini e donne hanno venduto con i figli.

Per poche migliaia di lire, e certe volte per niente, schiave eternamente tante popolazioni, e migliaia di persone servono a un tiranno. Povero genere umano, povera razza sarda!

Dieci o dodici famiglie si son divisa la Sardegna, in una maniera indegna se ne son fatte padrone; diviso hanno i villaggi fin dalla cieca antichità: però l’età presente pensa di porvi rimedio.

Nasce il Sardo soggetto a mille comandamenti: tributi e tasse che versa al Signore in bestiame e grano in denaro e in natura,; e paga per il pascolo e paga per arare.

Molto prima dei feudi esistevano i villaggi, ed eran loro padroni di boschi e campi. Come mai a voi, Baroni, la roba d’altri è passata? Colui che ve l’ha data non ve la poteva dare.

Non è mai pensabile che volontariamente abbia quella povera gente ceduto un tale diritto: il titolo stesso, ergo, è illegittimo della infeudazione, e i villaggi ragione hanno di impugnarlo.

I tributi, da principio, li esigevate in misura limitata, ma poi sono andati ogni giorno aumentando, ma man che crescendo siete andati in fasto, a misura che nella spesa abbandonavate ogni economia.

Non vi serve allegare l’antichità del possesso; con minacce di carcere, con castighi e con pene, con ceppi e con catene, i poveri ignoranti diritti esorbitanti avete costretti a pagare.

Almeno si usassero per mantenere la giustizia, castigando la cattiveria dei cattivi del luogo: almeno sollievo i buoni avrebbero potuto avere, sarebbero potuti andare e tornare sicuri per la strada.

E' quello l'unico fine di ogni tassa e diritto, che sicuri e tranquilli, sotto la legge si viva: ma di questo fine ci priva il Barone per avarizia, solo nelle spese di giustizia fa economia.

Il primo che si presenta, si nomina ufficiale di giustizia, faccia bene o faccia male, basta che non chieda salario; procuratore o notaio, o cameriere o lacchè, sia bianco o sia nero, va bene per governare.

Basta che si dia da fare per far crescere la rendita, basta che faccia contenta la borsa del Signore; che aiuti il fattore a riscuotere in fretta, e se qualcuno è renitente che lo sappia pignorare.

A volte, come fosse podatario, governa il cappellano, i villaggi con una mano e con l'altra la dispensa: O Feudatario! Pensa che i vassalli non ce li hai solo per accrescere le tue ricchezze, solo per scorticarli.

Il patrimonio, la vita, per difenderli il villano, con le armi in pugno deve stare notte e giorno; dato che è così, perché tanti tributi? Se non si deve avere un frutto è pazzia pagarli.

Se il Barone non fa il suo dovere, vassallo, da parte tua, a nulla sei obbligato; i diritti che ti ha estorto in tanti anni passati, sono soldi rubati e te li deve restituire.

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sabato 13 dicembre 2008

domenica 7 dicembre 2008

Jean-Baptiste Du Bos, o Dubos (Beauvais, 1670 – Parigi, 23 marzo 1742), è stato un filosofo e storico francese.

Importante studioso della storia e della critica delle arti e della poesia, ha dato importanti contributi alla filosofia estetica tra il XVII e il XVIII secolo. Tra i suoi scritti sono notevoli le Réflexions critiques sur la poésie et la peinture. In esse, pubblicate nel 1719, si teorizza che il sentimento è alla base della produzione della bellezza nell'arte e nella poesia, senza dar troppa importanza alle regole e agli schemi accademici. Si tratta di una completamente nuova visione di ciò che è bello, che tiene conto di ciò che ogni persona in generale cerca e trova nell'opera d'arte o letteraria. Il sentimento, per lui diventato il motore primario dell'estetica, ha nelle Réflexions la sua legittimazione definitiva, diventando così una base per l'estetica dell'Illuminismo.
Il razionalismo freddo e schematico in arte e letteratura è rifiutato da Du Bos, che rigetta i formalismi dogmatici. Questo perché della bellezza non si può dare alcuna definizione rigida, né si può fissare alcun schematismo canonico. Soltanto la sensibilità dell'individuo che apprezza la bellezza perché la capisce e si sintonizza con essa, permette di accedere alla sfera del bello in termini estetici.
Du Bos scrive nelle Réflexions:
« In pittura il fine principale è di produrre emozione. Se c'è emozione vuol dire che c'è eccellenza. E' la stessa ragione per cui un'opera che non emoziona e non fa presa sui sentimenti non ha alcun valore. Ciò significa che non sono le regole a produrre il bello e che un'opera può essere brutta senza tradire le regole, mentre un'opera piena di trasgressioni alle regole può essere eccellente. »

venerdì 5 dicembre 2008